Morbo Crohn

Patologia

Le malattie infiammatorie croniche intestinali comprendono la Retto Colite Ulcerosa (RCU) e il Morbo di Crohn (MC). Pur essendo due entità morbose ben distinte sono entrambe caratterizzate da un’infiammazione cronica idopatica a carico dell’intestino che produce manifestazioni cliniche intestinali (enterorragie, dolori addominali, diarree profuse, occlusioni e perforazioni intestinali), ed extraintestinali (lesioni cutanee, articolari, oculari e epato-biliari).
L’epidemiologia di queste malattie è rispettivamente di circa 11 casi ogni 100.000 abitanti per la RCU e di 7 ogni 100.000 abitanti per il MC con una età di insorgenza per entrambi i sessi così detta “Bimodale”, cioè con il primo picco di insorgenza tra 15-30 anni e con il secondo tra 60-80.
Esistono numerosi tratti distintivi che differenziano queste due malattie fra loro, anche se talvolta, in un 10% dei casi, non si arriva a definire con certezza una diagnosi precisa e si preferisce “etichettare” il paziente come affetto da una colite cronica idiopatica indeterminata. Questa difficoltà diagnostica si presenta a causa di un non chiaro meccanismo eziopatogenetico d’insorgenza e della mancanza di segni clinici patognomonici che permettano una distinzione certa tra la RCU e il MC. L’eziopatogenesi di tali condizioni è come sopradetto sconosciuta, ma sembra in prima ipotesi da attribuirsi ad un difetto del sistema immunitario su base genetica. Infatti, in soggetti che hanno una particolare predisposizione genetica, è stata riscontrata un’alterata risposta immunitaria a stimoli normalmente presenti a livello locale. Questa alterata risposta immunitaria è stata dimostrata essere la responsabile delle tipiche lesioni parietali che si possono evidenziare in tali malattie. A prova di ciò, sono stati eseguiti studi di settore che hanno rilevato un aumento statisticamente significativo di incidenza di queste malattie, rispetto alla popolazione generale, nei figli di genitori portatori di tali condizioni morbose: ma soprattutto hanno evidenziato che queste percentuali addirittura triplicano se entrambi i genitori ne sono portatori (infatti si passa da un 10% ad un 36%). Questo dimostra, anche, che per la manifestazione fenotipica clinica conclamata è necessaria una correlazione tra particolari pattern cromosomici, HLA-DR2\DR5 ad esempio – che rappresentano il background endogeno – e fattori esogeni come gli agenti infettivi della flora microbica intestinale. Da questo connubio nasce uno stato di infiammazione cronica permanente che viene slatentizzata da specifici fattori ambientali (come lo stress, il fumo di sigaretta, le infezioni, ecc. . . ) e provoca le tipiche lesioni a livello intestinale ed extraintestinale che si vanno a ricercare in sede diagnostica.

Fisiopatologia e clinica

La sintomatologia clinica di presentazione è alquanto variegata: i segni ed i sintomi clinici sono molteplici e possono anche modificarsi nella storia clinica dello stesso paziente. La variabilità delle manifestazioni cliniche sono dipendenza sia della sede sia dell’invasività del processo infiammatorio. Nella RCU, infatti, il processo infiammatorio cronico è localizzato solo a livello degli strati più superficiali della parete colica (mucosa) e le lesioni iniziano sempre prima a carico del retto per poi, eventualmente, estendersi a livello più prossimale fino a poter interessare l’intero organo. La caratteristica principale di tale malattia è quindi la continuità di queste alterazioni parietali che si susseguono nei vari tratti colici senza discontinuità. Il MC, al contrario, per sua caratteristica è discontinuo: infatti, possiamo trovare, durante un esame endoscopico, nelle fasi di attività della malattia, zone di parete indenne frammiste a zone che presentano lesioni severe (ulcere). Oltre a questa prima differenza, il MC è distinguibile a livello istologico dalla RCU, per la diversa invasività della parete intestinale da parte del processo infiammatorio. In questa malattia, infatti, tale processo si estende a tutti gli strati della parete colica coinvolgendo anche il foglietto peritoneale esterno (lo strato più esterno), con possibilità di aderenze e fistolizzazioni (cioè comunicazioni patologiche tra due organi) con strutture adiacenti.
I sintomi più caratteristici di entrambe le condizioni, almeno all’esordio, sono dolori addominali associati ad una variazione improvvisa in senso diarroico del comportamento alvino – con scariche fecali alternate a scariche ematiche -. All’esordio della malattia, oltre ai segni classici di presentazione clinica sopradescritti, possono presentarsi anche segni di importante alterazione dello stato generale del paziente (come tachicardia, febbre e alterazione del sensorio) che suggeriscono una colite fulminante, cioè uno stato infiammatorio\settico così severo da richiedere un intervento chirurgico d’urgenza per evitare la più grave complicanza per queste malattie che è il MegaColonTossico. Un’altra complicanze temibile, quasi esclusiva della RCU, è il un cancro del colon-retto: è stato dimostrato, infatti, che i pazienti affetti da questa malattia da più di dieci anni hanno un rischio di sviluppare una neoplasia colo-retttale circa dieci volte superiore alla popolazione generale.

Diagnosi

La diagnosi differenziale delle malattie infiammatorie croniche intestinali è molto complessa. Per questo motivo sono state sviluppate delle metodiche diagnostico\strumentali, anche grazie al costante contributo del progresso tecnologico, che ci permettono oggi di arrivare ad una diagnosi di certezza in oltre il 90% dei pazienti. La Tc, con le sue più recenti evoluzioni (il clisma TC del colon e del tenue), e la colonscopia con tubo flessibile, che permette di compiere biopsie nei tratti intestinali malati, forniscono importanti informazioni sulla natura del processo infiammatorio, sulla sede, sulla distribuzione e sulla gravità dello stesso.
In base alle caratteristiche cliniche, biochimiche e strumentali si arriva non solo alla certezza di diagnosi nella maggior parte dei pazienti, ma anche ad una stadiazione di gravità di malattia. Sia la RCU che il MC posso essere classificate, in base ai parametri precedentemente esposti, in diverse fasi di malattia, (attività e remissione) e con diversi gradi (lieve-moderato-severo). La terapia per queste condizioni morbose, infatti, dipende sia dalla fase in cui si trova il paziente e sia dal grado di attività.

Trattamento chirurgico

La terapia medica si fonda sull’utilizzo per entrambe le condizioni morbose delle stesse classi di farmaci che sono i corticosteroidi, la salazopirina e l’acido 5-aminosalicilico (5-ASA), gli antibiotici, gli immunosoppressori ed i più recenti AnticorpiMonoclonali. Il clinico, come detto precedentemente, sceglie la combinazione di farmaci migliore per ciascun paziente associando di solito farmaci che appartengono a categorie differenti. Questo produce due effetti: diminuisce la dose del farmaco che deve essere somministrata al paziente riducendo gli effetti collaterali e da dei risultati clinici migliori per un sinergismo farmacologico. Nelle forme di lieve entità si preferisce utilizzare, come terapia di mantenimento e nelle fasi di remissioni cliniche, l’acido 5-aminosalicilico (Mesalazina) per os ed antibiotico terapia (Metronodazolo). Nelle forme moderate\severe in fase acuta si utilizzano come prima arma i corticosteroidi endovena a dosaggi massimali (40-60mg di Prednisone) associati ad antibiotico terapia (Metronodazolo). Se non si riscontrasse una risposta clinica sufficiente si passa agli immunosoppresori endovena (Azatioprina e Metotrexate) o agli anticorpi monoclonali (Infliximab), che rappresentano, ad oggi, l’ultima frontiera terapeutica.
La terapia chirurgica è riservata alle complicanze di tali malattie o alla mancata risposta alla terapia medica in corso di fase acuta.
La terapia chirurgica nella RCU ha scopo curativo, ed è necessaria in un 25% dei casi. Le cause di intervento chirurgico sono: il megacolontossico in corso di colite fulminante, la perforazione e l’emorragia massiva come complicanze della fase acuta delle coliti di grado severo. Le complicanze tardive (cioè della fase cronica) della RCU che richiedono un intervento chirurgico sono: il cancro colo-rettale e la fistolizzazione e le occlusioni (molto più frequenti nel MC).
Al contrario, per il MC la terapia chirurgica non è mai curativa. Le recidive dopo intervento chirurgico, infatti, sono elevatissime: 20% entro un anno, 50% entro cinque anni e 75% entro quindici. Detto ciò, tuttavia si è visto che almeno un 50% dei pazienti affetti da MC necessitano di una resezione segmentaria nel corso della loro vita e circa un 30% di due. Anche per il MC il trattamento chirurgico si impone ogniqualvolta ci siano complicanze della fase acuta (simili a quelle della RCU) oppure quando si presentano quadro occlusivi o subocclusivi causati da stenosi del lume intestinale e\o da una grave sindrome aderenziale post-flogistica, che portano a grave deterioramento delle condizioni cliniche.

Malattie diverticolari

Patologia

I diverticoli sono delle alterazioni anatomiche a carico della parete del colon che possono manifestarsi clinicamente con quadri clinici sfumati di dolenza localizzata ai quadranti addominali inferiori o con una sintomatologia così severa da mettere a rischio la vita del paziente. I pseudodiverticoli o semplicemente diverticoli sono delle estroflessioni acquisite della mucosa e della muscolaris mucosae presenti in più del 30% dei soggetti adulti con più di 60anni e in più dell’60% dei soggetti anziani sopra gli 80 anni. Essi sono localizzati nel 50% al colon di sinistra (discendente-sigma), ma possono anche interessare l’intera cornice colica in circa il 16% dei casi o, in una percentuale ancora inferiore, intorno al 5%, solo il colon di destra (ascendente-cieco). I diverticoli possono essere apprezzati macroscopicamente in sede autoptica o sul pezzo operatorio come delle vere e proprie estroflessioni della parete oppure ricordare la forma di “sacche” a fondo cieco in comunicazione con la cavità del viscere durante un Rx clisma opaco o un esame colonscopico.

Fisiopatologia e clinica

Il primum movenes nella formazione di questo difetto di parete è un’ipertrofia degli strati muscolari (muscolatura liscia circolare), associata a movimenti di ipersegmentazione, che produce un aumento stabile della pressione intraluninale e che causa l’indovazione degli strati più superficiali attraverso i luoghi di minore resistenza della parete del colon: dove, cioè, penetrano i vasi sanguigni. La malattia diverticolare è stata nominata la “malattia del XX secolo”: sia per la alta morbilità e mortalità delle sue complicanze, ma soprattutto per la sua elevata prevalenza nei soggetti adulti asintomatici nella società odierna. Questa accezione gli è stata attribuita considerando il fatto che la sua incidenza, nulla agli inizi del 1900 nei paesi occidentali, è andata aumentando in modo stabile e progressivo dagli anni 20 ad oggi. Ci sono studi, infatti, che dimostrano come il numero di ricoveri ospedalieri per malattia diverticolare si sia quasi raddoppiato nel ventennio ’50 -’70 nei paesi nordeuropei. Questo strano comportamento sembra essere in stretta correlazione con lo sviluppo socio economico e con la modifica delle abitudini dietetiche. E’ stato osservato in studi epidemiologici di settore eseguiti nelle generazioni figlie degli immigrati neri d’America di inizio secolo scorso, che la loro probabilità di sviluppare la patologia divertolare è, attualmente, identica a quella delle popolazioni autoctone; questi dati si discostano molto da quelli pubblicati in studi degli anni ‘30 dove l’incidenza di malattia era molto differente nelle due popolazioni. Oltre ai sopraccitati fattori di rischio sono strati proposti altri fattori correlati con lo sviluppo della malattia quali: età, sesso, obesità, vita sedentaria, malattie ereditarie, immunodepressione e terapie farmacologiche con FANS\Steroidi. La storia naturale della malattia è complessa e variegata: i soggetti portatori dei diverticoli possono restare asintomatici tutta la vita o possono presentare complicanze emorragiche gravi, in un 1-6% dei casi, oppure complicanze infiammatorie/infettive che si manifestano come singolo episodio, in un 10-25% dei pazienti, o cronicizzate, con episodi recidivanti, in un altro 20-25%. Però, anche all’interno della stessa tipologia di complicanza, sia essa infiammatoria/infettiva sia emorragica, sono presenti fenotipicità di vario grado che si estrinsecano con quadri sintomatologici diversi. La complicanza più frequente è senza dubbio la complicanza infiammatoria, la diverticolite. In base all’estensione anatomopatologica del processo infiamatorio in atto possiamo classificare il corrispettivo quadro clinico in due entità distinte: la diverticolite non complicata e la diverticolite complicata. La diverticolite non complicata è l’infiammazione localizzata a livello del diverticolo che non coinvolge altre strutture ma che determina una reazione infiammatoria locale in risposta ad una stasi fecale all’interno del diverticolo stesso, con una iperplasia del tessuto linfoide della mucosa e con un edema peridiverticolare, il quadro “classico” di peridiverticolite. Questa alterazione anatomopatologica può rimanere del tutto asintomatica o può manifestarsi clinicamente con una dolenza in fossa iliaca sinistra associata a turbe dell’alvo, stipsi o diarrea – tipo sindrome da colon irritabile-. La diverticolite complicata, invece, presuppone l’estensione del processo infiammatorio/infettivo al di fuori del diverticolo propriamente detto estendendosi, o per contiguità dal colletto diverticolare a tutti gli strati della parete del colon adiacenti o per perforazione delle pareti del diverticolo e formazione di un flemmone\ascesso. Tale ascesso si potrà estendere al grasso pericolico-epiploico-mesenteriale, alla cavità pelvica e peritoneale, potendo addirittura interessare le strutture nobili viciniori quali: il piccolo intestino, la vescica, la vagina, l’utero e gli annessi. Questa poliedricità si rifletterà nella sintomatologia di presentazione clinica che manifesterà, oltre ad una sintomatologia dolorosa acuta di notevole intensità per irritazione dei foglietti peritoneali e ad una reazione infiammatoria sistemica (febbre, tachicardia, ecc…), un corredo sindromico policromo associato che virerà a seconda dell’organo coinvolto: non sono rari, infatti, i pazienti che si presentano all’attenzione del medico per infezioni recidivanti delle vie urinarie causate da una fistola colo-vescicale misconosciuta.

Diagnosi

Iter diagnostico si compone di esami di laboratorio per monitorare gli indici di flogosi ematici e quantificare l’eventuale perdita di sangue, di esami radiologici come l’Rx clisma, l’ecografia addominale e la TC addomino-pelvica e l’angiografia per dimostrare la conservata canalizzazione, l’estensione del processo infiammatorio e il luogo di emorragie nelle perdite ematiche massive e infine dell’esame colonscopico che da importanti informazioni sul transito, sul sanguinamento di lieve/media entità e nella diagnosi differenziale tra stenosi diverticolare e neoplastica nei casi di diverticolite cronica recidivante. La scelta degli esami da eseguire nel singolo paziente dipende dal grado di progressione della storia naturale della malattia e dal livello di acuzie del quadro clinico presentato dal paziente stesso. In condizioni di urgenza per instaurare una prognosi e una terapia corretta l’esame che ha il più alto potere diagnostico è la TC; mentre in condizioni di “elezione” la colonscopia è sicuramente l’esame più significativo.

Trattamento chirurgico

La terapia della malattia diverticolare si fonda nei soggetti asintomatici a rischio e nella diverticolite acuta non complicata nell’introduzione di una dieta ad alto contenuto di fibre al fine di ridurre l’incidenza della formazione dei diverticoli (prevenzione primaria) e quindi degli episodi di diverticolite acuta, sia esso il primo episodio sia di quelli successivi, sia l’utilizzo di terapia antibiotica per os a basso assorbimento sistemico per il controllo della sintomatologia algica. La terapia, invece, della diverticolite acuta complicata sfrutta la sinergia tra antibiotico terapia sistemica e terapia chirurgica in funzione della gravità del quadro clinico e delle comorbidità del paziente. Quando il paziente non presenta un quadro clinico di peritonite generalizzata la strategia migliore è quella dell’antibiotico terapia e.v. ad alte dosi e il differimento dell’intervento chirurgico in “elezione” e non in urgenza a causa della mortalità postoperatoria del 10-20% in quester condizioni contro quella del 2% in condizioni di stabilità. Un ulteriore fattore da considerare in urgenza è il dover confezionare una deviazione del transito intestinale temporaneo per almeno 90 giorni con l’esposizione del paziente al termine del periodo di attesa ad un nuovo intervento chirurgico gravato anch’esso da percentuali di morbilità postoperatorie del 30% e moratalità del 14%. La terapia della malattia diverticolare si fonda nei soggetti asintomatici a rischio e nella diverticolite acuta non complicata nell’introduzione di una dieta ad alto contenuto di fibre al fine di ridurre l’incidenza della formazione dei diverticoli (prevenzione primaria) e quindi degli episodi di diverticolite acuta, sia esso il primo episodio sia di quelli successivi, sia l’utilizzo di terapia antibiotica per os a basso assorbimento sistemico per il controllo della sintomatologia algica. La terapia, invece, della diverticolite acuta complicata sfrutta la sinergia tra antibiotico terapia sistemica e terapia chirurgica in funzione della gravità del quadro clinico e delle comorbidità del paziente. Quando il paziente non presenta un quadro clinico di peritonite generalizzata la strategia migliore è quella dell’antibiotico terapia e.v. ad alte dosi e il differimento dell’intervento chirurgico in “elezione” e non in urgenza a causa della mortalità postoperatoria del 10-20% in quester condizioni contro quella del 2% in condizioni di stabilità. Un ulteriore fattore da considerare in urgenza è il dover confezionare una deviazione del transito intestinale temporaneo per almeno 90 giorni con l’esposizione del paziente al termine del periodo di attesa ad un nuovo intervento chirurgico gravato anch’esso da percentuali di morbilità postoperatorie del 30% e moratalità del 14%.

Il timore delle malattie

È frequente che sia la donna stessa a spingere il familiare maschio al controllo di uno specialista quando insorgano malattie o problematiche della funzione intestinale. L’ ipotetico e tanto temuto oltraggio della fisicità più intima in realtà consiste in una banale ed indolore esplorazione visiva e digitale; l’anoscopia non è sempre indispensabile ed è simile a quanto eseguito in una normale visita ginecologica. Continua a leggere Il timore delle malattie

La stitichezza in gravidanza

Durante la gravidanza la stitichezza può insorgere anche nelle donne che normalmente non soffrono di questo disturbo.

Cause della stitichezza in gravidanza

Il progesterone ed alcuni ormoni prodotti producono infatti il rilasciamento delle pareti intestinali limitandone i movimenti e rendendone meno efficiente la progressione delle feci. Gli stessi ormoni svolgono anche un’azione rilasciante sulla parete delle vene, aumentando il rischio di emorroidi e varici che nelle donne sono circa due volte più frequenti. Continua a leggere La stitichezza in gravidanza

Emorroidi in gravidanza

Le emorroidi sono molto diffuse in gravidanza e quasi sempre impongono una convivenza scomoda e dolorosa su cui si mantiene un pudico riserbo immotivato.

Si stima che tra il 25% e il 35% delle donne siano colpite dal problema delle emorroidi in gravidanza.
Bisogna però ricordare che la maggior parte di questi casi si risolveranno dopo il parto e che solo una piccola parte potrebbe necessitare di un intervento chirurgico. Continua a leggere Emorroidi in gravidanza

Riservato alle Donne

Nelle donne il setto retto-vaginale può essere considerato una “struttura-barriera” che separa clinicamente il proctologo e/o gastroenterologo dal ginecologo, con importanti ripercussioni nella pratica ambulatoriale quotidiana e nell’indagine scientifica. Patologie dell’ano-retto e patologie ginecologiche o sessuali sono spesso presenti nella singola donna. La situazione più frequente è rappresentata dalla stipsi cronica da disfunzione motoria del colon, da disfunzione ano-rettale e da alterazioni psico-comportamentali. La stasi fecale può ripercuotersi a livello ginecologico, urologico e sessuale. La stipsi cronica e le emorroidi sono delle malattie che spesso si presentano al ginecologo e solitamente queste ultime tendono a peggiorare in gravidanza, quando invece andrebbero analizzate da un proctologo specializzato. Continua a leggere Riservato alle Donne

Emorroidi

Cosa sono

Le emorroidi sono delle strutture anatomiche angiocavernose situate nel canale anale. Le emorroidi sono presenti già nel feto e svolgono la funzione di completare la continenza di liquidi e gas. La funzione di completamento della continenza è assolta attraverso l’afflusso e il deflusso sanguigno: le emorroidi si gonfiano, chiudendo il lume del canale anale, per afflusso arterioso e si sgonfiano, riaprendo il lume del canale anale, per deflusso venoso.

Le emorroidi si distinguono in:

  • plessi interni – collocati sopra la linea pettinata e ricoperti di mucosa rettale insensibile;
  • plessi esterni – collocati al di sotto della linea pettinata e ricoperti di anoderma molto sensibile.

Continua a leggere Emorroidi

Emorroidopessi con suturatrice meccanica

Che cos’è

L’emorroidopessi è una recente tecnica chirurgica che corregge e riposiziona il tessuto in eccesso senza asportare le emorroidi.

I disturbi emorroidali sono causati dal prolasso (rilasciamento di tessuto) retto-anale. Il prolasso fa scivolare esternamente le emorroidi interne che a loro volta spingono esternamente e lateralmente le emorroidi esterne. Il presupposto dell’emorroidopessi è quello di non asportare le emorroidi, in quanto esse svolgono una funzione di completamento della continenza dei liquidi e dei gas. Continua a leggere Emorroidopessi con suturatrice meccanica

Emorroidi – I dubbi più frequenti

…in caso di emorroidi

Le emorroidi sono delle strutture anatomiche che si hanno fin dalla nascita: sono dei cuscinetti artero-venosi presenti nel canale anale già nel feto.

Le emorroidi si dividono in:

  1. interne, sopra la linea pettinata;
  2. esterne, al di sotto della linea pettinata.

Le emorroidi sono importanti per completare la continenza dei liquidi e dei gas: si gonfiano e si sgonfiano attraverso l’afflusso e il deflusso del sangue. Continua a leggere Emorroidi – I dubbi più frequenti

Stipsi

Che cos’è

Tantissime donne (ma anche molti uomini) soffrono di stipsi: in parole povere non hanno una normale defecazione, sia in rapporto ai tempi, sia rispetto alla frequenza di evacuazione. Interminabili minuti passati sul water, necessità di spingere, di effettuare manovre manuali e di assumere clisteri o lassativi: pratiche seccanti ma necessarie per effettuare una quotidiana defecazione, e che il più delle volte lasciano la sensazione fastidiosa di avere ancora necessità di andare in bagno. Continua a leggere Stipsi